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Amicizia sociale

La pace sociale è laboriosa, artigianale. Sarebbe più facile contenere le libertà e le differenze con un po’ di astuzia e di risorse. Ma questa pace sarebbe superficiale e fragile, non il frutto di una cultura dell’incontro che la sostenga. Integrare le realtà diverse è molto più difficile e lento, eppure è la garanzia di una pace reale e solida. Ciò non si ottiene mettendo insieme solo i puri, perché «persino le persone che possono essere criticate per i loro errori hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto».  E nemmeno consiste in una pace che nasce mettendo a tacere le rivendicazioni sociali o evitando che facciano troppo rumore, perché non è «un consenso a tavolino o un’effimera pace per una minoranza felice».  Quello che conta è avviare processi di incontro, processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze. Armiamo i nostri figli con le armi del dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro! (FT 217)

In questo modo, si rende possibile sviluppare una comunione nelle differenze, che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda. Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto. (EG 228)

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